Intervista a Piera Mungiguerra
La regista porterà in scena Sabato 9/2/2019 al teatro PIME di Milano “Sogno di una notte di mezza estate”, di W. Shakespeare con musiche di Purcell e Mendelssohn
un programma RadioStatale
Signora Mungiguerra, lo spettacolo che metterà in scena Sabato sera è un “sogno” che dura da più di quattro secoli. Come si spiega il successo di quest’opera che pare imperitura?
E’ un opera profonda, proprio nel senso di un pozzo. Ad una prima lettura potrebbe sembrare solo una complicata trama di amanti e magie, ma studiandola e lavorandoci sopra ci si rende conto di quanti strati e livelli di lettura possieda.
I personaggi abbandonano la città per immergersi nel bosco e qui perdono completamente il raziocinio, diventano violenti, spaventati, gelosi, passionali all’eccesso. Finché dura la notte non sono più in possesso del senno, sono persi nel bosco e in loro stessi ma forse è proprio in quest’ombra che rivelano la loro vera natura. A ben vedere questa è già psicanalisi, con circa 300 anni di anticipo.
Si dice che un’opera teatrale sia tanto del drammaturgo quanto del regista che la mette in scena. Qual è stato il suo apporto personale a questa “favola bella” popolata da folletti e fate nei pressi di Atene?
Ho cercato di lavorare sull’immaginazione, i personaggi sembrano appunto emergere da un sogno, immersi nella notte e nascosti fra gli alberi del bosco. Emergono, si dissolvono e si confondono gli uni con gli altri. Nello spettacolo due soli interpreti coprono undici ruoli ed è in questo dissolversi e apparire e nella recitazione virtuosistica di due bravissimi attori, quali Claudia Gambino e Francesco Meola, che si trova la cifra dello spettacolo. La musica è un terzo personaggio che a volte li guida a volte a volte nasce dal loro movimento.
Il suo spettacolo è infatti tanto visivo quanto musicale. Cosa ha provato nell’accostare i testi Shakespeariani alle note di Purcell e Mendelssohn?
Si è trattato di un percorso affascinante in due mondi all’opposto come il Barocco e il Romanticismo. Abbiamo cercato di sfruttare la grande differenza tra i due compositori (le emozioni pure ed eteree della musica di Purcell, la passionalità teatrale dell’universo di Mendelssohn) per far risaltare la dimensione onirica e sfaccettata dei vari livelli drammaturgici che animano il testo di Shakespeare. Con la presenza di diversi musicisti che intervengono accanto al pianoforte abbiamo enfatizzato l’aspetto spaziale e di rottura della quarta parete, che è un elemento importante dello spettacolo.
Terminate le prodezze dell’indimenticabile Puck, quali saranno i suoi progetti futuri? Può già anticiparci qualcosa?
Dopo aver lavorato su Shakespeare è difficile ritornare al mondo reale, il suo teatro è incredibile, esplora forse ogni angolo dell’umano con una poesia e un acume senza pari… Un viaggio in posti bellissimi, di quelli che pensi di iniziare ad afferrare nel momento in cui devi ripartire e ti dici: ‘Devo assolutamente tornarci’. Per il resto mi farò guidare dagli innamoramenti che verranno.
domande di Simone Santini